Il 12 dicembre 1969, esplode una bomba a Piazza Fontana, Milano. Muoiono diciassette persone e 88 ne vengono ferite. Immediatamente mass-media e magistratura puntano l’indice contro gli anarchici, ma in realtà è una strage di Stato.
Tre giorni dopo, l’anarchico Giuseppe Pinelli sarà defenestrato dal 4° piano della questura di Milano durante un interrogatorio illegale.
Nel 1969 la lotta sociale si inasprisce raggiungendo livelli di estrema acutezza. Il governo Rumor è completamente impreparato ad affrontare una simile situazione. Il 1969 infatti è un anno costellato di attentati dinamitardi volti a suscitare turbamento, sfiducia nel regime politico, desiderio di un “governo forte” di destra. Nell’autunno, il cosiddetto “autunno caldo”, la situazione diventa sempre più tesa. Il 12 dicembre i neofascisti, intenzionati a determinare nel paese una situazione di panico tale da portare alla formazione di un governo autoritario, con l’appoggio dei servizi segreti dei colonnelli greci, con la complicità degli stessi servizi segreti italiani e con il sostegno di uomini politici conservatori ansiosi di mettere fine al “disordine sociale”, puntano alla strage. Un bomba ad alto potenziale collocata nella Banca dell’Agricoltura di Milano, in Piazza Fontana, provoca la morte di sedici persone ed il ferimento di altre novanta. Anche a Roma, lo stesso giorno, vi sono attentati e feriti. Il disegno è chiaro: mettere in atto una “strategia della tensione” basata sugli effetti dell’azione terroristica e finalizzata ad un colpo di Stato politicamente dominato dalla Destra.
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