Titolo originale: Lavorare con lentezza
Nazione: Italia
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 111'
Regia: Guido Chiesa
Sito ufficiale: www.lavorareconlentezza.com
Cast: Tommaso Ramenghi, Marco Luisi, Claudia Pandolfi, Valerio Mastandrea, Valerio Binasco, Jacopo Bonvicini, Max Mazzotta, Massimo Coppola
Produzione: Domenico Procacci
Distribuzione: Fandango
Data di uscita: Venezia 2004
01 Ottobre 2004 (cinema)
Anni '70, Italia. Per molti, gli anni dell'austerity, dell'inflazione al 21%, del terrorismo, delle stragi. Per altri, anni di gran divertimento... Bologna, 1976. Radio Alice è la radio del movimento studentesco: fantasia, rifiuto del lavoro salariato, libertà sessuale e provocazioni culturali. Un mondo estraneo ai tutori dell'ordine e ai "bravi cittadini", ma anche alla maggioranza dei ragazzi delle periferie. Come a Safagna, periferia Sud. Due ragazzi sui venti, Sgualo e Pelo, possono solo sognare una via d'uscita dal quotidiano grigio e opprimente. Qualche volta per ovviare alla cronica mancanza di denaro fanno qualche "lavoretto" per un ricettatore locale, Marangon. Questa volta, però, Marangon propone loro qualcosa di diverso... scavare un tunnel nel sottosuolo del centro. Obiettivo: la Cassa di Risparmio di Piazza Minghetti. I due, non senza tergiversare, accettano la rischiosa impresa. Ma, si sa, lavorare stanca. E per vivacizzare le lunghe ore notturne di "lavoro", i due portano nel tunnel una radiolina. Contro ogni logica, trovano una stazione: Radio Alice. Il "flusso creativo" dell'emittente diviene la colonna sonora dei colpi di piccone. Una notte Pelo e Sgualo decidono di andare alla sede dell'emittente e... Inizia così per i due ragazzi l'avventura in un mondo nuovo, eccitante. Nel giro di pochi mesi scoprono musiche mai udite prima, conoscono la possibilità inebriante della comunicazione libera. E' una situazione, però, destinata a non poter durare. La sfida rappresentata da questa crescente massa di giovani che rifiutano il lavoro e le istituzioni, che non sognano il posto fisso, né di farsi famiglia e consumare, è troppo rischiosa per un sistema vacillante. Quando un carabiniere uccide uno studente durante dei tafferugli all'università, la rivolta a lungo covata esplode in tutta la sua tragica violenza. Radio Alice ne è la colonna sonora. Dopo due giorni di scontri e barricate, la radio viene chiusa, accusata di aver diretto gli scontri via etere. I ragazzi hanno perso la radio, gli amici, le donne. L'appuntamento con la Storia, forse. Ma la sensazione di averci provato, quella lì non li abbandonerà più. In attesa di provarci di nuovo. "Tutte le storie parlano di oggi. E di domani." Guido Chiesa e Wu Ming
Note
Lavorare con lentezza è un film per tutte e tutti. Guido Chiesa Quelli che un giorno di ferie in meno è un giorno di fatica in più. Quelli che non gli batte il cuore quando risuona l'Inno di Mameli. Quelli che non vogliono il Potere, ma solo potere. Quelli che hanno perso il filo e il segno eppure vanno avanti. Quelli che pensano che la classe a cui appartieni conta anche dopo la scuola. Quelli che non si vergognano di prendersi sul serio e di ridersi addosso. Quelli che l'aumento del PIL non gli da mai la felicità. Quelli che in fabbrica o in carcere non ci manderebbero nemmeno lui. Quelli che non si stava meglio quando si stava peggio. Quelli che in televisione ci vanno solo come casi umani. Quelli che i sacrifici han perso il conto delle volte. Quelli che non ci sentono quando la Patria chiama. Quelli che pensano che non ci sono stranieri. Quelli che se si turano il naso non è per andare a votare. Quelli che una rapina è sempre qualcosa di più d'un furto. Quelli che preferiscono l'ironia alla nostalgia. Note dei Wu Ming Quando Guido Chiesa ci ha chiesto di scrivere insieme a lui la sceneggiatura di un film su Radio Alice e sul Settantasette bolognese, prima di dargli la risposta definitiva, abbiamo fatto il solito test, quello che ci ha permesso di scrivere tutti i nostri romanzi di ambientazione storica, da Q a 54. Ci siamo chiesti quali fossero i cliché che viziavano maggiormente il ricordo e l'epica di quegli anni e quali le tessere mancanti per comporre un mosaico verosimile, efficace, che rimettesse tutto in prospettiva. Mancano i colori, ci ha fatto notare Franco Berardi, noto a tutti come Bifo. Vero: i filmati d'archivio riproposti dalla TV sono quasi sempre in bianco-e-nero, eppure anche allora, anche nel côtè movimentista del decennio, i cieli erano azzurri e le foglie verdi e gli occhi blu o verdi o nocciola. E' il solito problema: ci immaginiamo le epoche coi colori di supporti logorati dal tempo. Ok. I colori. Ma è solo una questione cromatica? Guarda caso, proprio gli stereotipi che hanno fissato la memoria di quel decennio, si ritrovano a braccetto col meno colorato dei colori, il grigio. Il grigio del piombo, senza dubbio, ma anche il grigio dei vecchi cassonetti dell'immondizia, perché finora gli anni Settanta, nel nostro immaginario, sono stati soprattutto questo: la lotta armata e il trash di Fabio Fazio, Prima Linea e i Cugini di Campagna. E' tempo di dirlo forte, al di là di ogni operazione di recupero: la monnezza di oggi era monnezza anche ieri. Accettare la proposta di Guido, in definitiva, significava soprattutto questo: sperimentare se fosse possibile parlare di anni '70 senza restare prigionieri dell'uno o dell'altro cliché. Rifiutarsi di credere che la complessità di quel decennio potesse essere rappresentata solo da Bombolo e Mario Moretti. Uniti nella lotta, verrebbe da dire. I movimenti radicali dell'epoca non furono per forza plumbei, puro fanatismo e violenza politica. Dov'è tutto il resto? Dov'è la forza-invenzione, i "cento fiori", le tinte acide delle serigrafie, le fanzines, il cut-up grafico e sonoro, il linguaggio destrutturato delle radio libere e dei circoli del proletariato giovanile ("Un risotto vi seppellirà"), l'irrompere degli slang e degli accenti regionali dopo decenni di dizione Rai? Il vero, grande crimine del lottarmatismo nostrano, per taluni aspetti, è stato di usurpare la molteplice memoria dei movimenti, in combutta con la classe dirigente della Prima Repubblica. Come fare? Prima proposta: parlare del 1976-77, non soltanto del Settantasette. Metodo: andarsi a leggere i giornali dell'epoca, proprio come avevamo fatto per 54. Prestare attenzione alle notizie secondarie, alle indagini di costume, ai fatti di nera slegati dalla politica, alle vicende frivole. Aprire le finestre e far entrare l'aria. Con Guido ci siamo subito trovati d'accordo. Perché intendiamoci, anche su Radio Alice e gli scontri del marzo abbondano stereotipi e distorsioni, si ricordano sempre gli stessi due-tre aneddoti, si conoscono quelle due-tre fotografie. Ben venga allora il tentativo di provare un approccio non scontato. Seconda proposta: parlare di un evento coevo ma estraneo, qualcosa che fosse accaduto negli stessi giorni degli scontri, o poco prima, secondo un tipico approccio del nostro collettivo. Traiettoria ad effetto. La palla sembra andare da tutt'altra parte,destinata a perdersi sul fondo, poi invece la parabola si chiude e la rete si gonfia. Assediare Qin per colpire Wei. Nascondere gli obiettivi dichiarati dell'operazione narrativa di un intreccio che sembra appena sfiorarli. Col risultato di evitare gli stereotipi, mettersi al riparo da tentazioni catechistiche, proporre un punto di vista diverso e straniante sull'intera vicenda. Proprio sui giornali dell'epoca, abbiamo trovato notizia di una misteriosa rapina col buco, che dai canali sotto le strade di Bologna doveva portare un commando di uomini talpa a un passo dal pavimento del caveau della Cassa di Risparmio. L'assonanza tra questa città sotterranea e la Bologna underground del movimento e di Radio Alice ha acceso la scintilla. Il fatto che la rapina - come ogni rivoluzione che si rispetti - sia stata sventata a un soffio dal successo, ha rafforzato il legame. Si aggiunga a questo che le forze dell'ordine non sono mai riuscite a mettere le mani sui colpevoli perché troppo impegnate a reprimere i moti di piazza, e il gioco è fatto. Per arrivare al nostro tesoro, dovevamo metterci a scavare insieme alla bassa manovalanza di quella rapina.
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