La nascita degli indiani metropolitani
I primi segnali di "indianità" risalgono alla fine del '76 quando apparve il manifesto dei Circoli Giovanili milanesi "abbiamo dissotterrato l'ascia di guerra", rilanciando un umore che già era emerso nella bolgia della Festa del Parco Lambro.
Il manifesto dei Circoli Giovanili Milanesi
Ma gli Indiani Metropolitani veri e propri comparvero a Bologna nel febbraio del 1977 e da lì in poi spuntarono come funghi, mentre imperversava il clima di guerriglia tra la polizia e l'Autonomia operaia, originatisi in seguito agli scontri tra questi ultimi ed i missini del Fronte della gioventù di Roma.
Un indiano metropolitano
Creatività e slogan
Contestando con forza i collettivi degli autonomi durante le occupazioni universitarie, gli indiani metropolitani rappresentavano “l’ala creativa” del movimento che mirava a realizzare un proprio benessere anche a costo di isolarsi nella propria “riserva”, mentre i vari gruppi della sinistra rivoluzionaria andavano ormai disgregandosi (come ad esempio Lotta Continua) soprattutto a causa del fallimentare rapporto tra il "privato" e il "politico".
Spinti dal desiderio di un nuovo linguaggio che traspariva anche dagli slogan come "RIPRENDIAMOCI LA VITA", "LA FANTASIA DISTRUGGERA' IL POTERE ED UNA RISATA VI SEPPELLIRA’" (e molti altri) e dall' impulso di amplificazione del pensiero in azione, a migliaia si truccavano e danzavano scombinati all'urlo "ea,ea,ea... ah!” ed erano, molto spesso, al centro delle notizie dei mass-media, opponendo alla guerriglia urbana delle P38 una sorta di allegra guerriglia urbana teatrale.
In fuga dalle sovrastrutture ideologiche, gli indiani metropolitani, definiti dai più "fricchettoni", nel rompere gli schemi stereotipati della comunicazione e nel liberarsi dalle gabbie di linguaggio e di comportamento, cercavano di affinare la propria sensibilità e le proprie percezioni alla ricerca di altre forme di esistenza, che trovarono la condizione migliore nelle pratiche creative della scrittura, dell'azione teatrale e della musica, dove anche il consumo delle droghe leggere faceva parte del carattere di convivialità.
Il comizio di Lama
Il carroccio col fantoccio di Lama
Gli indiani metropolitani ebbero un ruolo prevalente durante il comizio di Luciano Lama, accompagnato dal servizio d’ordine del PCI, che nel febbraio del '77 era andato a parlare agli occupanti dell’Università di Roma (dopo che altri esponenti politici si erano rifiutati di farlo) per convincerli ad interrompere la protesta. Ne conseguì un violento scontro tra gli Autonomi e le forze dell'ordine del PCI (con intervento conclusivo della polizia) e la conseguente cacciata di Lama, il cui camion Dodge rosso, che fungeva da palchetto, venne travolto dalla furia dei manifestanti e ribaltato.
Quella mattina gli indiani, prima dello scoppio dei disordini, avevano inscenato un contro-comizio ironico-satirico allestendo un fantoccio di Lama su di un carroccio e addobbando il tutto con scritte come “L’ama o non Lama? Non Lama nessuno” e scandendo slogan del tipo “Più lavoro, meno salario”, “Andreotti è rosso, Fanfani lo sarà”, “Lama è mio e lo gestisco io”, “Più baracche, meno case”, “E’ ora, è ora, miseria a chi lavora”, “Potere padronale”, “Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia”.
Erano gli anni della fine del “compromesso storico”, dove il PCI, pur di partecipare al governo, si era impegnato, nei confronti della DC, ad assicurare il consenso e la pace sociale (evidentemente non riuscendoci) e dove il Movimento contestava il governo, ma soprattutto il partito dell’astensione, il PCI, che aveva incoronato addirittura Andreotti con un suo uomo: il Presidente della Camera Ingrao.
In seguito alla repressione organizzata da Cossiga che utilizzò le forze della Celere di Ravenna, che usarono i blindati sia a Bologna che a Roma, si inacerbì la guerriglia urbana autonomista e successivamente alcuni aderenti al Movimento si spinsero nel terrorismo.
Dalle performance di strada degli indiani metropolitani al teatro post-moderno
Scrive Carlo Infante (ex indiano metropolitano) a proposito delle esperienze artistiche dell’epoca: “(…) E' da qui che si potrebbe partire con altre analisi legate alle sperimentazioni teatrali e multimediali che dalla fine degli anni settanta si sono sviluppate sulla base di quelle intelligenze e sensibilità sopravvissute al riflusso. La postavanguardia teatrale promossa da Giuseppe Bartolucci fu certamente un alveo straordinario di queste energie eversive che rifondarono i linguaggi scenici , avviando ad esempio una ricerca "patologico-esistenziale" che affondava a piene mani nella turbolenza schizoide dell'ala creativa del Movimento”.
Aggiungo io (Altipiani azionanti): “L’aspetto più significativo dell’esperienza degli indiani metropolitani è stato proprio il carattere antesignano di creatività che è emerso forte, impellente, come vera e propria necessità. Giovani che, abbandonando il fardello della stereotipata militanza politica, per una improbabile rivoluzione di massa, hanno voluto dare sfogo alle proprie esigenze libertarie, individuali e immediate, per la realizzazione di un impegno vero in un contesto arte/vita che fosse possibile proprio a partire dai singoli individui. Nel loro insieme andranno a costituire i numerosi gruppi di base, nati un po’ dovunque in quel periodo, all’insegna di una “cultura della presenza e del protagonismo” e forti di un immaginario che poi sfocerà nelle variegate esperienze dell’arte della postavanguardia”.
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