L’ape e il comunista

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Noi siamo i dirigenti e gli organizzatori della guerra  rivoluzionaria

e anche i dirigenti e gli organizzatori della vita delle masse.

I due nostri compiti sono: organizzare la guerra rivoluzionari e migliorare le condizioni di vita delle masse. Mao Tsetung

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del Gruppo di studio Resistenze Metropolitane

 

L’ape e il comunista. Il più importante documento teorico scritto dalle Brigate Rosse, Pgreco edizioni, 2013, pp. 307, € 17,00.

[La storia della lotta armata di sinistra in Italia ha partorito una produzione libraria copiosissima, ma per molti versi insoddisfacente. Lasciando da parte l’esorbitante paccottiglia  “cospirazionista”, hanno prevalso opere di taglio giornalistico, oppure memorie, non sempre attendibili o significative, di singoli personaggi, fossero attori effettivi (il più efficace e sincero: Prospero Gallinari), magistrati o congiunti delle vittime. Alcuni autori hanno cercato di ricostruire gli eventi con obiettività, ma i libri degni di nota si contano sulle dita di una mano. Ne citiamo quattro: Storia delle Brigate Rosse, di Marco Clementi (Odadrek, 2007); Vorrei che il futuro fosse oggi. Nap: ribellione, rivolta e lotta armata, di Valerio Lucarelli (L’Ancora del Mediterraneo, 2010); La lotta è armata. Estrema sinistra e violenza: gli anni dell’apprendistato, 1969-1972, di Gabriele Donato (IRMS Friuli-Venezia Giulia, 2012); Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse, di Andrea Casazza (Derive-Approdi, 2013). Oltre, naturalmente, ai volumi de La mappa perduta pubblicati da Sensibili alle foglie, che peraltro si limitano a offrire materiali a un ipotetico storico a venire.

Sta di fatto che la vicenda complessiva resta ampiamente nell’ombra, vittima di una ritrosia tutta politica a trattarla se non in termini esclusivamente giudiziari; per cui ogni frammento di essa riportato alla luce va accolto con favore. Vale anche per la produzione teorica delle formazioni armate, genericamente definita “delirante”, oggi come trent’anni fa. Ci sembra quindi opportuna la riedizione integrale de L’ape e il comunista, forse il testo più ampio e articolato mai redatto dalle Brigate Rosse (o meglio, da una loro ala). Riportiamo l’introduzione, in cui chi ha curato la pubblicazione ne spiega le finalità.] (VE)

L’ape e il comunista, pubblicato dalla rivista Corrispondenza Internazionale nel 1980, rappresenta il punto di approdo dell’analisi brigatista a nove anni dalla nascita dell’organizzazione. Scritto tra il 1979 e il 1980 dai militanti prigionieri reclusi nelle neonate carceri speciali in regime di articolo 90 (1), il testo appare come il tentativo di sintetizzare le conquiste teoriche e pratiche di un’organizzazione passata, in pochi anni, dagli incendi delle autovetture di qualche capetto inviso agli operai, al rapimento del presidente della Democrazia Cristiana.

All’origine de L’ape e il comunista vi fu anche un confronto dialettico tra linee politiche divergenti, che contrapponevano alcuni prigionieri delle Brigate Rosse e alcuni militanti in clandestinità. Ma non è questo aspetto che a noi oggi interessa trattare. L’attualità dello scritto non risiede in quel confronto, che per le modalità e le contingenze in cui si espresse appare superato. Non sono quelle le sollecitazioni principali che, a nostro avviso, emergono dalla lettura delle pagine del libro.

Quali sono, dunque, le ragioni della ristampa di questo libro, oggi?

Prima di tutto si tratta di un’opera quasi introvabile. La sua pubblicazione su Corrispondenza Internazionale ebbe, come si può immaginare, una vasta diffusione, soprattutto nel circuito dei militanti politici. La prima edizione andò esaurita in poche settimane e fu seguita da una sola ristampa, rendendo il testo di difficile reperibilità, oscurato, oltre che dalla forza dei suoi contenuti, anche dalle vicende giudiziarie che seguirono la sua pubblicazione. L’intera redazione della rivista, infatti, venne arrestata poco dopo l’uscita del libro con l’accusa di favoreggiamento e banda armata. Il processo farsa per direttissima si concluse con l’assoluzione degli imputati.

Una seconda ragione che rende ancora attuale questo testo sta nelle diverse esigenze che L’ape e il comunista riuscì a conciliare. Si tratta, infatti, di un lavoro collettivo capace di coniugare analisi teorica, esigenza didattica e iniziativa militante. In alcune parti può apparire datato e deve dunque essere letto nella sua contingenza. Per rigore storiografico, la nuova edizione andrebbe corredata dalle pubblicazioni della risoluzione strategica scritta dalle BR nel 1978 e dai comunicati dell’”azione Moro”, che, come dicevamo più sopra, esprimevano tesi parzialmente in contrasto con quelle del “documentone”, come venne anche chiamato dai suoi autori.

Oggi noi ristampiamo L’ape nella sua versione originale, senza modificarne una sola parola o correggerne un solo refuso, proponendolo nella sua prima veste, nella speranza che possa stimolare una riflessione sull’eredità che ha lasciato: quella di un documento politico che appartiene alla storia del movimento rivoluzionario italiano.

Esiste anche una terza ragione – forse più speculativa, ma non per questo meno importante – che ci spinge alla nuova edizione: restituire la parola direttamente ai militanti rivoluzionari e all’espressione del loro pensiero e della loro azione. Una scelta che riporta quell’esperienza alla sua concretezza e alla sua materialità, lontana dalle pastoie della dietrologia e della cosiddetta “memoria condivisa”, che generano confusione e appiattiscono ogni processo storico a una lettura univoca e grossolana della realtà.  Un piccolo contributo, il nostro, affinché chi intenda oggi comprendere gli snodi storici e politici che caratterizzarono un’epoca pervasa da spinte rivoluzionarie, eppur così vicina a noi, possa farlo attingendo ai documenti originali e alla parola dei protagonisti di allora.

Molti sostengono che, in realtà, ne L’ape e il comunista di attuale vi sia ben poco. Non siamo d’accordo. Esistono senz’altro parti dello scritto che possono apparire datate, slegate dalla realtà che ci circonda. Trattandosi di un testo complesso e che risale a più di trent’anni fa, è inevitabile che la sua interpretazione si presti a opposte valutazioni. Vi saranno senz’altro lettori e militanti che reputano “superati” I dannati della terra (2), Fratelli di Soledad (3), o il Che fare di Lenin; ciò non toglie che la scomparsa di questi testi dalle biblioteche, in particolare da quelle dei militanti politici, rappresenta una prospettiva inaccettabile.

La citazione di Vygotskij (4) che apre il primo capitolo del libro, non a caso intitolato Dall’inizio alla fine, spiega bene questo punto:

“Ancora molti studiosi, al giorno d’oggi identificano la storia con il passato, per cui studiare qualche argomento storicamente diventa studiare questo o quel fatto del passato. Da qui deriva quella concezione ingenua che vede un’insormontabile separazione tra lo studio di forme storiche e lo studio di forme attuali. Invece, compiere lo studio storico di un determinato argomento, significa semplicemente applicare a esso la categoria dello sviluppo. Studiare storicamente alcunché significa studiarlo in movimento. È questa un’esigenza fondamentale del metodo dialettico. Soltanto cogliendo come oggetto di indagine il processo dello sviluppo di qualche fenomeno in tutte le sue fasi  e in tutti i suoi mutamenti, dal momento del suo insorgere fino alla sua scomparsa, significa scoprire la sua natura e rivelare che cosa è esso in sostanza, poiché soltanto nel suo movimento un corpo mostra che cosa è.”

L’ape e il comunista non è un testo di semplice lettura. In esso si sviluppano, attraverso un filo logico ininterrotto, diversi temi: l’analisi marxista dell’economia politica e del sistema di produzione capitalistico (primi sette capitoli); la crisi, le sue forme e le risposte che la borghesia è in grado di opporle (capitoli ottavo e nono); l’analisi delle classi sociali e dello stato italiano (capitoli decimo e undicesimo); l’analisi dei due principali partiti politici dell’epoca, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, delle loro relazioni e delle reciproche funzioni. Infine, Le venti tesi finali, dove i prigionieri delle Brigate Rosse preconizzano la nascita del Partito Comunista Combattente e pongono la questione degli “Organismi di massa rivoluzionari”.

Come vi sono passaggi del testo che appaiono superati e poco comprensibili se letti fuori dalla contingenza in cui vennero scritti, ve ne sono altri che mantengono inalterata la loro freschezza analitica soprattutto in relazione al dibattito che attraversa oggi la sinistra anticapitalista.

Citiamo alcuni di questi passaggi come stimolo e introduzione alla lettura.

A proposito delle teorie del crollo spontaneo del capitalismo:

“La teoria marxista della crisi, nella misura in cui nega la possibilità di uno sviluppo illimitato ed equilibrato dell’accumulazione capitalistica, disperde le nebbie delle concezioni che deducono il comunismo dall’ingiustizia e dalla malvagità del capitalismo e dalla pura volontà rivoluzionaria del proletariato. […] Così, quando i soggettivisti sostengono che l’unica barriera del capitale è la lotta operaia, dimostrano solo di confondere la causa oggettiva della crisi con uno dei fattori che ne accelerano il corso.” (5)

A proposito di certe teorie tanto in voga oggi e che spostano dalla sfera della produzione a quella della circolazione la contraddizione principale del sistema borghese:

“Interpretare le crisi come crisi di sottoconsumo e individuare così la contraddizione principale non nella produzione, ma nella circolazione, implica pertanto la possibilità di compiere un errore gravissimo: ritenere eliminabili le crisi intervenendo sulla circolazione, cioè sul movimento del denaro; sarebbe sufficiente aumentare la massa monetaria in circolazione e il problema sarebbe facilmente risolto, lasciando inalterato il modo di produzione capitalistico.” (6)

Sulla questione della precarizzazione del lavoro, gli autori, analizzando i contenuti del Piano Triennale presentato dal governo italiano nel 1979, anticipano di trentacinque anni la situazione nella quale ci troviamo oggi:

“Si offre al proletariato di sostituire l’utilizzo parziale e illegale del lavoro nero, estendendo le condizioni di precarietà a tutto il mercato del lavoro, generalizzando questi rapporti di sfruttamento attraverso una forma di legittimazione garantita da un controllo concertato tra sindacati-imprenditori-governo.” (7)

Sul destino dell’Italia gli autori furono profetici:

“Se continueremo a rimanere l’anello debole della catena imperialista, saremo il teatro di scontri ferocissimi fra grandi gruppi, terra di conquista delle multinazionali straniere più forti, un cimitero di piccole-medie-grandi imprese spazzate via dalla concorrenza più agguerrita del mondo, una vera colonia dell’epoca attuale. […] Le lavorazioni a maggior valore aggiunto saranno concentrate in USA, RFT (Germania, ndr) e Giappone; a noi resterà solo lo spazio di fare concorrenza nel costo del lavoro ai paesi emergenti.” (8)

Altrettanto profetici lo furono sul reale significato dell’integrazione europea:

“L’operazione Europa è un progetto di ingegneria istituzionale e politica che risponde agli interessi economici esclusivi della borghesia imperialista e, in particolare, del suo segmento più forte, quello tedesco.” (9)

A proposito della relazione tra lotta di classe e lotta rivoluzionaria:

“Alla coscienza della dicotomia tra lavoro salariato-capitale corrisponde una coscienza tradeunionistica; alla coscienza della contraddizione borghesia-proletariato corrisponde la coscienza comunista. Ma quest’ultima non discende dalla semplice esperienza di fabbrica e di lotta economica, la si può conquistare solo attraverso il rapporto della classe operaia con le altre classi e strati, attraverso il rapporto-scontro con la borghesia e il suo Stato, solo attraverso la lotta politica rivoluzionaria.” (10)

A proposito della funzione dello Stato:

“Fuor di metafora, intendiamo dire che lo Stato, se da un lato opera in un rapporto di dipendenza sostanziale dal movimento del capitale, dall’altro maschera questa dipendenza finché gli è possibile, apparendo in superficie come formalmente indipendente. Questa simulazione, precisamente, è la condizione prima della sua funzione globale: quella di impedire la disintegrazione della formazione sociale minata dagli antagonismi di classe e, di conseguenza, garantire la riproduzione dei rapporti sociali e delle classi. […] Tocca ai media, principalmente, trasmettere linearmente e diffondere nei differenti containers e con gli opportuni adattamenti secondo i profili sociali di ciascuno, le ingiunzioni dello Stato: e su di essi riposa la buona riuscita di tutta l’operazione.” (11)

Stimoli, ripetiamo, che suggeriamo solo per introdurre alla lettura del libro, attraverso i passaggi che ne anticipano meglio l’ampiezza teorica e argomentativa.

Forse, però, ciò che più conta in questo testo, come nell’eredità delle tante esperienze rivoluzionarie degli anni Sessanta e Settanta, è la sua natura di classe: il superamento in esso della differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra chi si occupa della pratica e chi della sola teoria. Un prodotto collettivo, figlio del proletariato e delle lotte di quegli anni, con le sue vittorie e le sue sconfitte. Un libro che, come e forse più di ieri, continuerà a fare paura.


(1) L’articolo 90, inserito nella legge di riforma dell’ordinamento penitenziario n. 354 del 1975, consentiva al Ministro di Grazia e Giustizia di sospendere, temporaneamente, le regole previste dall’ordinamento penitenziario, in presenza di gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza. L’applicazione di questo articolo di legge sancì nei fatti la sospensione della Costituzione nelle carceri dove veniva applicato, abbandonando i detenuti alla totale mercé dei propri carcerieri. Oltre a un uso indiscriminato della tortura, l’art. 90 favorì la depersonalizzazione dei detenuti attraverso l’isolamento quasi totale, la sorveglianza 24 ore su 24, l’impossibilità di cucinare o di accedere alla socialità.

(2) Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi 2007

(3) George Jackson, Fratelli di Soledad, Einaudi 1970

(4) Lev Semenovic Vygotskij, 1896-1934, fondatore della scuola storico-culturale sovietica e studioso presso l’Istituto di Psicologia di Mosca.

(5) AA.VV., L’ape e il comunista, Cap. 6 (Teorie sulla crisi)

(6) Ibidem, Cap. 8, par. 3.2 (Sulla crisi)

(7) Ibidem, Cap. 8, par. 6.3 (Sulla crisi)

(8) Ibidem, Cap. 9, par. 9 (Sulla struttura produttiva)

(9) Ibidem, Cap 11, par. 27 (Sullo Stato)

(10) Ibidem, Cap. 10, par. 7.1 (Sulle classi)

(11) Ibidem, Cap. 11. Par. 8 (Sullo Stato)

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