Il metodo del linciaggio

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Il metodo del linciaggio e delle liste di epurazione, ampiamente e lungamente rodato in particolare negli ultimi quindici  contro gli ex militanti della lotta armata (peraltro, perlopiù a senso unico, vale a dire contro quelli di sinistra) è, del tutto prevedibilmente, tracimato.

Così, ora basta aver conosciuto, frequentato o sia pure anche simpatizzato con l'estremismo più o meno armato degli anni Settanta per vedersi attaccato, intimidito, zittito, criminalizzato (e chi non è mai stato a scuola, al cinema o al circolo con un ex sovversivo?).

Ciò è diventato possibile, anche e soprattutto perché più o meno tutti – da destra, centro e sinistra – hanno accettato (e spesso collaborato a) che venisse archiviato malamente quel periodo, consegnandone i protagonisti (quanto meno quelli noti, che ne hanno accettato responsabilità e conseguenze) a una vita di galera, di inesauribile rancore e di disprezzo sociale.

Ma se questo è il metodo e l’accusa, il più pulito – a destra, centro e sinistra – c’ha la rogna.

Già, perché la rivolta e la violenza politica non sono state invenzione e pratica di un pugno di allucinati delinquenti, come il revisionismo storico contemporaneo ha – con successo – accreditato nel sentire comune e nelle convinzioni pubbliche, oltre che nei libri di storia e negli editoriali di coscienze prese a noleggio. La violenza è stata, invece, fenomeno di massa che ha coinvolto e trascinato una parte rilevantissima dei giovani di quegli anni. È stata deriva lunga di un aspro conflitto sociale e operaio che ha scosso alle fondamenta le fabbriche, le scuole e il territorio nelle metropoli industriali. È stata attualizzazione ritualizzata di una guerra civile continuata – e alimentata – sottotraccia dopo il 1945. È stata pratica corrente, e non solo nelle aree extraparlamentari dell’epoca. È stata, prima ancora e innanzitutto, pratica di governo e di terrore per opera di istituzioni inquinate e apparati statali assai poco fedeli alla Costituzione repubblicana. Basti dire che, ancora negli anni Sessanta, 62 dei 64 prefetti di prima classe provenivano dai ranghi dell’amministrazione dello Stato nel regime mussoliniano. E così pure tutti i 241 viceprefetti, i 135 questori e i 139 vicequestori; e lo stesso valeva per molti magistrati, per non dire delle permanenti tentazioni golpiste nell’Arma dei carabinieri.

È stata repressione, sanguinosa e sempre impunita, delle lotte operaie e studentesche, con centinaia di pacifici manifestanti uccisi nelle piazze da forze dell’ordine e servizi di sicurezza che – ancora sino ai primi anni Ottanta – avevano ai propri vertici aderenti a trame eversive quali la P2.

È stata quella dello stragismo, anch’esso impunito, attraverso il quale si sono intimidite e bloccate le spinte al rinnovamento radicale di un sistema di partiti corrotti e di democrazia interrotta, qual era quello degli anni Sessanta e Settanta. E attraverso la quale si sono fatti deragliare i movimenti di lotta, spingendoli verso la risposta violenta e armata.

Quei grandi movimenti si sono, anche perciò, progressivamente frantumati. Chi ne ha fatto parte si è allontanato per sentieri inizialmente paralleli e poi divaricati. Sino a che, trent’anni dopo, quelle comuni provenienze e quelle successive divaricazioni hanno lasciato posto solo alle rimozioni, alle prese di distanza, al disconoscimento degli amici e dei fratelli, e, per il pugno dei dannati vivi, al marchio perenne di Caino.

Triste e forse inevitabile fine. Che dice di quanto sia profondo il pozzo in cui può cadere chi osa guardare oltre l’orizzonte e prova a ribellarsi. Che racconta di quanto sia addomesticabile la memoria, affinché preservi e non faccia male. E che, soprattutto, testimonia dell’antica legge che dice: guai ai vinti!

I vincitori, quelli che ieri assaltavano le Case della cultura e del popolo, proprio come si faceva, l’altro ieri, agli albori del Ventennio, hanno avuto il premio del governo, dei ministeri e il bottino di guerra del poter riscrivere la storia a proprio uso e nobilitazione.

I vinti si sono divisi in sommersi e salvati. Provvisoriamente salvati. Giacché – ed è questa la lezione – nessuno è salvo davvero e per sempre.

Sino a che la ferita degli anni Settanta rimane infetta e trascurata. E dunque destinata, come una maledizione, a tormentare il presente, rientrando dalla finestra della storia, da ogni fessura, come erba maligna. Sino a che non sarà curata e ricucita, sino a quando non le sarà resa davvero pace e una giustizia che non sia la vendetta a senso unico che abbiamo conosciuto in questi decenni, tra il livore arrogante dei vincitori e la pavida dimenticanza degli sconfitti.

Scritto da Sergio Segio | 13 Maggio 2011

Fonte: http://www.micciacorta.it

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