La Comune non è morta (Chi ha paura della comune?) - Internazionale Situazionista

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maggio68-07


Debord, Kotànyi, Vaneigem - 18 marzo 1962

Il diritto uguale di tutti ai beni e alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle cose, la ragion d’essere dell’insurrezione del 18 marzo e il programma della terribile associazione che le ha fornito un esercito.
Inchiesta parlamentare sull'insurrezione del 18 marzo 1871.
Coloro che parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere ciò che vi è di sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto radicale di tutte le costrizioni, si riempiono la bocca di un cadavere.
Comitato Enragés - Internationale situationniste
Parigi, maggio 1968
1. Occorre riprendere lo studio del movimento operaio classico in maniera disingannata, e disingannata, prima di tutto, per quanto riguarda i suoi eredi politici o pseudoteorici, poiché essi non possiedono che l’eredità della sua disfatta. Il successo apparente di questo movimento è l’insieme delle sue disfatte fondamentali (il riformismo o l’installazione al potere di una burocrazia statale) e le sue sconfitte (la Comune e la rivolta delle Asturie) sono, a tutt’oggi, i suoi successi aperti, per noi e per l’avvenire.
2. La Comune è stata la più grande festa del 19° secolo. Alla base di essa si trova la convinzione degli insorti di essere divenuti padroni della loro propria storia, non tanto al livello della decisione politica “governativa”, quanto invece a livello della vita quotidiana, in quella primavera del 1871 (per esempio il gioco di tutti con le armi; il che significa giocare con il potere). E’ anche in tal senso che bisogna capire Marx: «la più grande misura sociale della Comune è stata la sua esistenza in atto».
3. La frase di Engels: «Considerate la Comune di Parigi. Era la dittatura del proletariato» deve essere presa sul serio, come base per mostrare ciò che non é la dittatura del proletariato in quanto regime politico (le differenti forme di dittatura sul proletariato, in suo nome).
4. Tutti hanno potuto muovere delle giuste critiche alle incoerenze della Comune, alla mancanza palese di un apparato. Ma poiché noi siamo oggi convinti che il problema degli apparati politici sia molto più complesso di quanto non pretendano gli eredi dell’apparato di tipo bolscevico, é tempo di considerare la Comune non solo come primitivismo rivoluzionario passato di cui si superano tutti gli errori, ma come un’esperienza positiva di cui non si é ancora ritrovata e compiuta tutta la verità.
5. La Comune non ha avuto capi. E questo in un periodo storico nel quale l’idea che fosse necessario averne dominava completamente il movimento operaio. Così si spiegano, prima di tutto, le sue sconfitte e i suoi successi paradossali. Le guide ufficiali della Comune erano degli incompetenti (se si prende, come riferimento, il livello di Marx, o anche di Lenin e persino di Blanqui). Ma in compenso, gli atti “irresponsabili” di quel momento sono precisamente da rivendicare per il seguito del movimento rivoluzionario del nostro tempo (anche se le circostanze li hanno limitati quasi tutti allo stadio distruttivo - l’esempio più conosciuto é l’insorto che dice al borghese sospetto, che afferma di non essersi mai occupato di politica: «E’ proprio per questo che ti uccido»).
6. L’importanza vitale dell’armamento generale del popolo è manifestata, praticamente e teoricamente, dall’inizio alla fine del movimento. Nell’insieme, non si è rinunciato, in favore di distaccamenti specializzati, al diritto di imporre con la forza una volontà comune. Il valore esemplare di questa autonomia dei gruppi armati ha il suo rovescio nella mancanza di coordinazione: il fatto di non avere, in nessun momento, offensivo o difensivo, della lotta contro Versailles, portato la forza popolare a livello dell’efficacia militare; ma non si deve dimenticare che in Spagna la rivoluzione, e infine la guerra, sono state perdute in nome della trasformazione in “esercito repubblicano”. Si può pensare che la contraddizione tra autonomia e coordinazione dipendesse, in larga misura, dallo sviluppo tecnologico dell’epoca.
7. La Comune rappresenta, fino ad ora, la sola realizzazione di un urbanismo rivoluzionario, poiché essa ha attaccato, nella pratica, i segni pietrificati dell’organizzazione dominante della vita, riconoscendo lo spazio sociale in termini politici, rifiutandosi di credere che un monumento possa essere innocente. Coloro che riconducono questo aspetto ad un nichilismo da sottoproletari, all’irresponsabilità delle incendiarie, devono, in contropartita, confessare tutto ciò che essi considerano positivo, da conservare, nella società dominante (si vedrà che é praticamente tutto).
8. Più che dalla forza delle armi, la Comune di Parigi é stata vinta dalla forza dell’abitudine. L’esempio pratico più scandaloso é il rifiuto di ricorrere al cannone per impadronirsi della Banca di Francia, mentre c’era un così grande bisogno di denaro. Durante tutto il periodo in cui la Comune ha tenuto il potere, la banca é rimasta un’enclave versagliese dentro Parigi, difesa da qualche e fucile e dal mito della proprietà e del furto. Le altre abitudini ideologiche sono state estremamente nocive a tutti gli effetti (la risurrezione del giacobinismo, la strategia disfattista delle barricate in ricordo del ’48, ecc.).
9. La Comune mostra come i difensori del vecchio mondo beneficino sempre, per un aspetto o per l’altro, della capacità dei rivoluzionari; e soprattutto di coloro che pensano la rivoluzione. E precisamente là dove i rivoluzionari pensano come loro. Il vecchio mondo mantiene così delle basi (l’ideologia, il linguaggio, i costumi, i gusti) nello sviluppo dei suoi nemici, e vi si inserisce per riguadagnare il terreno perduto. (Solamente il pensiero in atto, naturale per il proletariato rivoluzionario, gli sfugge una volta per tutte: la Corte dei Conti é bruciata). La vera “quinta colonna” è nello spirito stesso dei rivoluzionari.
10. L’aneddoto degli incendiari che negli ultimi giorni erano andati per distruggere Nôtre Dame, e che si erano scontrati con il battaglione degli artisti della Comune, é ricco di senso: è un buon esempio di democrazia diretta. Esso mostra anche, più oltre, i problemi ancora irrisolti nella prospettiva del potere dei Consigli dei lavoratori. Quegli artisti, unanimi, avevano ragione di difendere una cattedrale in nome di valori estetici permanenti, e in definitiva, in nome dello spirito dei musei, quando altri uomini volevano quel giorno accedere all’espressione di se stessi, traducendo, con la demolizione della chiesa, la propria sfida totale ad una società che, con la sconfitta della Comune, si accingeva a respingere tutta la loro vita nel nulla e nel silenzio? Gli artisti della Comune, comportandosi da specialisti, si trovavano già in conflitto con una manifestazione coerentemente estremista della lotta contro l’alienazione. Bisogna rimproverare agli uomini della Comune di non aver osato rispondere al terrore totalitario del potere con l’impiego della totalità delle loro armi. Tutto induce a credere che i poeti che hanno tradotto in quel momento la poesia sospesa nella Comune siano stati fatti sparire. La massa degli atti incompiuti della Comune fa sì che divengano “atrocità” le azioni abbozzate, e che i ricordi siano censurati. La frase «coloro che fanno delle rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi una tomba» spiega anche il silenzio di Saint-Just.
11. I teorici che restituiscono la storia di questo movimento adottando il punto di vista onnisciente di Dio, hanno gioco facile nel mostrare che la Comune era oggettivamente condannata, che essa non aveva possibilità di sbocco. Non bisogna dimenticare che, per coloro che hanno vissuto l’avvenimento, lo sbocco era là.
12. L’audacia e l’immaginazione della Comune non si misurano, evidentemente, in rapporto alla nostra epoca, ma in rapporto alla banalità di allora nella vita politica, intellettuale, morale. In rapporto alla solidarietà di tutte le banalità alle quali la Comune ha appiccato il fuoco. Così, considerando la solidarietà delle banalità attuali, si può concepire l’ampiezza della creatività che possiamo attenderci da un’esplosione uguale.
13. La guerra sociale di cui la Comune é un momento dura tuttora (benché le sue condizioni superficiali siano molto cambiate). Per l’opera di «rendere coscienti le tendenze incoscienti della Comune» (Engels), non é stata detta l’ultima parola.
Pubblicato su Internationale situationniste - N. 12 Settembre 1969 - Parigi

Una aggiunta

Cento anni fa, in Francia, la borghesia riconfermata al potere, rivelando di sapere che ogni attacco portato con conseguenza ai fondamenti di tale potere é un attacco ai fondamenti del cristianesimo (e viceversa), erigeva, per mezzo di una sottoscrizione nazionale, l’orrendo Sacré Coeur, perché la Nazione espiasse di fronte a Dio i misfatti com- messi dai Comunardi. Oggi, il Potere commemora la Comune. Indubbiamente sono fatti che danno da pensare.
La sinistra, dai riformisti borghesi ai neobolscevichi, fa bene a celebrare la Comune. E’ tutto ciò che il suo ruolo nella presente organizzazione sociale le consente e le impone di fare. Ma ancora per poco. Presto, il fantasma che tutti i poteri della Terra, quelli già installati e quelli che sperano di esserlo un giorno, cercano con questi riti di esorcizzare, tornerà a farli tremare. Coloro che si richiamano a Lenin, a Stalin, a Mao Tse-Tung, parlano oggi in nome della Comune: il 18 marzo 1921, il giorno dopo aver concluso il massacro dei 16.000 marinai e operai del Soviet insorto di Kronstadt con la fucilazione in massa dei prigionieri, degli ostaggi e di quei Soldati Rossi che si erano ammutinati rifiutando di partecipare alla repressione, Trotsky e Zinoviev celebravano, per lo spettacolo del movimento comunista mondiale, il 50° anniversario della Comune di Parigi, accusando Thiers e Gallifet delle stragi compiute contro i Comunardi. Ecco un altro fatto che dà da pensare.
Gli stalino-cristiani e i neoleninisti, manipolando il significato storico della Comune, non possono che deformarne o ignorarne gli aspetti più radicali e più veri, ed assimilare, coprendola con la coltre di noia e di banalità dell’ideologia, la prima Rivoluzione sociale del proletariato europeo alle rivoluzioni burocratiche e sottosviluppate che essi ammirano. Ne va della loro sopravvivenza. Questi militanti, eredi di una generazione che ha conosciuto tutte le sconfitte e consumato tutte le menzogne del periodo della disgregazione del movimento operaio rivoluzionario, questi specialisti della gerarchia e del sacrificio, hanno tutto da temere dalle verità che la Comune ha annunciato di fronte al mondo: l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi; la Rivoluzione sarà una festa o non sarà.
La prima grande “sconfitta” del potere proletario é in realtà una sua prima grande vittoria poiché, per la prima volta il proletariato ha affermato la propria capacità storica di dirigere, in maniera libera, tutti gli aspetti della vita sociale. Allo stesso modo, la grande “vittoria” proletaria, la rivoluzione bolscevica, non é in definitiva che la sua disfatta più carica di conseguenze.
I segni che già annunciano il secondo e definitivo assalto del proletariato internazionale ai bastioni dell’alienazione, dovunque, annunciano anche il ritorno visibile delle aspirazioni e del programma che la Comune conteneva essenzialmente: la soppressione di tutto ciò che esiste separatamente dagli individui, la liberazione totale della vita quotidiana.
Che i recuperatori e i burocrati vengano zittiti!
Che il proletariato rivoluzionario si riappropri della sua storia nascosta!
Che storia e coscienza di classe divengano una cosa sola!

Milano, gennaio 1972.




















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